Dunning Kruger Cafè - trasporto aereo a emissioni zero
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Volare ad emissioni 0 (prima parte: la situazione odierna)

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La mobilità elettrica non è una novità, anzi, esiste da prima di quella a combustibile fossile, ma parecchi limiti tecnologici hanno favorito l’imporsi dei propulsori termici che nell’ultimo secolo hanno dominato strade, cieli e mari. Questa scalata al dominio degli idrocarburi purtroppo non ha subito il freno della crisi ambientale, che tutti abbiamo più o meno ignorato fino ad oggi. Nel corso dei decenni abbiamo accumulato danni e il pianeta oggi ci presenta il conto.

1,21 gigawatt emissioni trasporto aereo

Da qualche anno abbiamo visto un imporsi dell’auto elettrica, prima snobbata come semplice moda da eccentrici spendaccioni ma oggi spinta come cambiamento necessario ed urgente per tentare di limitare i danni. La tecnologia alla base della produzione, accumulo ed impiego dell’energia ha fatto passi da gigante e molto si sta investendo per portare gli EV alla portata di tutti. Ovviamente c’è chi è nato per questo, come Tesla, e chi si accoda stoicamente (il resto dell’industria automotive che del clima se ne frega, vedi dieselgate VW e Toyota con GM che chiedono agli USA di alzare le soglie di emissione). Purtroppo, alla fine è sempre l’economia a scandire regole e tempi, stavolta però non è più una questione dettata dalla moda, oggi è una necessità. Checchè ne dicano i detrattori (ho detto alfisti?), anche se nei prossimi anni le persone continueranno a comprare auto endotermiche per questioni economiche, saranno consapevoli del danno che stanno arrecando all’ambiente e ne faranno un uso più coscienzioso (si spera). L’ammissione è il primo passo per risolvere un problema…
Sono finiti i tempi del “ma siii…”. L’automotive produce il 30% della Co2 emessa dall’uomo e il 72% di quella totale derivata dai trasporti, elettrificare il parco auto mondiale avrebbe un effetto tangibile. Il tempo è poco ma la transizione è abbastanza lineare. Nel giro di un decennio dovremmo essere a buon punto grazie anche a governi che stanno incominciando a forzare la mano con scadenze sempre più serrate. La richiesta e la produzione di massa dovrebbero a breve compensare i forti investimenti profusi nella causa. Non è semplice ma fattibile.

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In questo slancio ecologista si pensa spesso a come togliere le emissioni anche dagli aerei, che causano circa il 2% delle emissioni di origine antropica e il 16% di quelle del settore trasporti. In questo frangente però non abbiamo solo la sfida tecnologica ma ci troviamo di fronte ad un mercato radicalmente diverso e molto difficile da trattare. Il quadro è complesso quando si parla di trasporto aereo, si tratta di mezzi che costano decine milioni di euro, progettati pensando al futuro in termini di decadi da chi li produce e acquistati come investimento sulla lunga distanza dalle compagnie che li operano; infrastrutture con centinaia di migliaia di posti di lavoro ed un ecosistema a se stante. Una aereo acquistato oggi è frutto di almeno un decennio di sviluppo e deve volare per almeno 20 anni, è un aspetto essenziale dell’economia su larga scala. È una realtà molto complicata e un passo falso potrebbe costare caro. Un rischio di troppo e si chiude, lo si è visto succedere decine di volte dal dopoguerra nel‘industria aeronautica e nel mondo delle compagnie aeree (ho detto Alitalia?). Pensare di fermare il trasporto aereo equivale a fermare l’economia. Se solo due mesi di parziale lockdown sanitario hanno prodotto miliardi di danni, immaginiamo le conseguenze del fermare tutto definitivamente. Le aziende che oggi hanno la possibilità di dare un contirbuto concreto (tra le quali Airbus, come vedremo) chiuderebbero (male) senza poter sviluppare nulla per il futuro.

1,21 gigawatt - trasporto aereo a emissioni zero

Ovviamente quando parliamo di trasporto aereo parliamo di voli di linea, non di piccoli aeromobili con pochi posti. Quelli costituiscono un mondo a se che non è considerabile come impattante per la scarsa diffusione nonostante l’utilizzo dell’AvGas come carburante, una benzina che contiene ancora zolfo e piombo. Certo, prima o poi arriveremo anche a li ma sarà molto più semplice innovare e c’è chi ci sta già provando.

Quanto inquina un aereo?

Gli aerei di linea bruciano un carburante chiamato Jet A1, molto simile al diesel, senza lubrificanti (che è un bene) ma contenente solfuri (che come vedremo, è molto male).
Nel corso degli ultimi 25 anni si è visto un crescendo di regolamentazioni per quanto riguarda il trasporto su ruota, prima per ridurre il particolato a bassa quota, responsabile di parecchie patologie, e in ultima anche per cercare di ridurre le emissioni di gas serra. Un diesel oggi ha l’85% in meno di emissioni di ossido di azoto (altro gas serra) e di particolato, che vengono assorbiti dal catalizzatore, e vanta 10 parti su 1.000.000 di solfuri.
Purtroppo però non è mai stato fatto altrettanto per quanto riguarda le emissioni del traffico aereo se non le linee guida per la certificazione FAA e una nota dell’EPA sull’ossido di azoto, non esistono catalizzatori per cui tutto il prodotto della combustione viene rilasciato in atmosfera. Il Jet A1 contiene 3000 parti per milione di solfuri, la sua raffinazione comporterebbe un aumento dei costi che potrebbe avere un impatto sulle compagnie aeree nell’ordine di 4 miliardi di dollari l’anno. Non essendoci restrinzioni di legge e potenziali danni ai motori, nessuno si prende la briga di farlo.
E sono proprio i solfuri e il particolato il vero problema, non le “scie chimiche” come credono molti. Alle quote di esercizio degli aerei di linea, le basse temperature fanno condensare il vapore contenuto nello scarico, questo si deposita e si ghiaccia sul particolato formando le note scie bianche (cirrus aviaticus). Più sono bianche e più il motore è efficiente, emettendo più vapore e meno particolato. Prova ne è che l’USAF considerò l’idrogeno come carburante di un eventuale aerospia che volasse a 30.000 metri, dove il JP-4 (l’equivalente militare del Jet A1) non brucia. Il progetto venne abbandonato proprio perchè tali motori, emettendo come prodotto solo vapore, rilasciavano scie di condensazione molto opache e visibili da terra. Inoltre le scie vengono emesse quasi esclusivamente in salita, quando il motore sta spingendo di più. Una volta raggiunta la velocità e la quota di crociera, è raro che si formino. Per questo le vediamo fondamentalmente solo lungo i corridoi di salita.

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Le scie di condensazione hanno un impatto minimo di per se, anzi, se producono un effetto è proprio quello di riflettere i raggi solari ad alta quota per via dei cristalli di ghiaccio.
Ma non significa che un turbofan non sia inquinante: nello scarico oltre a vapore acqueo e particolato abbiamo una massiccia dose di CO2 (mediamente 285 grammi per km per passeggero contro i 42 delle auto) e di ossido di azoto (NO e NO2) anch’esso gas serra. Il NO è un problema relativo perchè entra nel ciclo dell’ozono (altro gas serra ma utile in quota per la protezione dalla radiazione solare). L’effetto serra va considerato non solo per i tipi di gas ma per la loro distribuzione, l’ozono a bassa quota è dannoso, alle alte quote ci protegge.
Il vero problema, oltre alla CO2, sono i solfuri che uniti al vapore acqueo generano acido solforico, sostanza che poi precipita sotto forma di piogge acide, con tutte le conseguenze del caso.
Le aree densamente trafficate in quota, quindi escludendo gli aeroporti stessi e i corridoi, hanno tuttavia una bassa concentrazione di inquinanti emessi da aeromobili. Questo perchè la nuvola di particolato acido dell’emisfero nord (che ha molto più traffico rispetto al sud per la maggior quantità di terra emersa) viene spostato ad est per effetto Coriolis dalle correnti polare e subtropicale. Purtroppo prima o poi ricade e le schifezze prodotte nel mondo occidentale piovono nella già inquinata Asia…

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È vero che si parla di una frazione delle emissioni rispetto al trasporto su ruota ma è un settore in crescita del 6% l’anno (pandemie a parte). Per capire di che calibro di bruciatori stiamo parlando, prendiamo in esame un Boeing 737, il più diffuso liner di sempre: brucia in media 2500Kg di Jet A1 all’ora, per un regime di crociera di 850 km/h con 190 passeggeri fanno 0,015 grammi per passeggero per km. In realtà la proporzione in se è molto vicina a quella media dell’auto (0,014) e inferiore a quella degli autobus (0,06) se considerata per singolo passeggero, ma i passeggeri sono molti (8,8 miliardi l’anno) e i km nell’ordine dei milioni. Mediamente, ogni secondo, ci sono in aria mille 737 contemporaneamente. Se prendiamo in esame i voli a lungo raggio parliamo di emissioni per aerei della classe del 767 e dell’A330 che si attestano sui 6/7000 kg/h di kerosene bruciato per salire a 10.000 Kg per un Boeing 747 e 12.000 Kg per un Airbus A380. Il maggior numero di passeggeri non fa scendere la media pro capite perchè volo più lungo = aereo più grande = più carburante = più peso = più consumi. Un A380 consuma quasi 6 volte un 737 ma trasporta il triplo, al massimo il quadruplo, dei passeggeri.

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Però dell’aereo non possiamo fare a meno, unisce luoghi distanti in poco tempo, trasporta merci deperibili ed urgenti, muove molte persone che altrimenti dovrebbero affrontare lunghi viaggi ammassandosi in strada. Dobbiamo cercare di rimediare riducendo il danno ambientale e senza devastare l’economia.

Partire dal carburante

Un primo passo è quello di regolamentare il carburante. Ora, difficile fare una previsione, dobbiamo risolvere decentemente la crisi sanitaria per capire quanto male ne uscirà l’aviazione civile che già si sta adoperando per stare a galla inserendo cambiamenti radicali nel modo di organizzare i voli. Un secondo 11 settembre, solo che c’è un virus al posto dei talebani. Tuttavia una normativa internazionale entrata in vigore nel 2020 impone l’uso di carburanti privi di solfati per il trasporto navale, se questo farà lievitare i costi si spera possa comunque influenzare il trasporto aereo. Il Jet A1 in paesi come l’Italia è supertassato, si parla che senza accordi tra gestori di aeroporti e compagnie petrolifere, si sfora un 1,8 € al litro. In altri paesi costa meno ed essendo il carburante trasportato per l’utilizzo è soggetto solo alle accise del paese dove è stato eseguito il rifornimento, le compagnie aeree si inventano sistemi per incastrare i voli in modo da rifornire il più possibile dove costa di meno (il cosiddetto tankering). Parliamo di migliaia di litri per aereo, sono cifre grosse. Un aereo medio come il 737 o l’A319 consumano in media 50 Kg in più per 1000 Kg imbarcati, l’ora. Ovviamente il tutto viene calcolato al momento in base a tragitto, numero di passeggeri imbarcati e condizioni meteo, non sempre è conveniente partire stracarichi.
Fare economia è ancora la priorità e un kerosene più raffinato andrebbe ad innalzare ancora di più i costi. Quindi i governi dovrebbero intervenire detassando il carburante più ecologico, al fine di renderlo più appetibile di quello inquinante.

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Questa è la prima mossa che possiamo fare oggi, immediatamente senza dover inventare tecnologie che ancora non abbiamo. Ma è solo l’inizio di un percorso molto lungo…

Continua con la seconda parte