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Come saranno gli aerei di domani? Parte prima: Oggi.

Tempo di lettura: 19 minuti

L’aviazione civile sta attraversando un periodo difficile, entriamo nel terzo anno di pandemia (pandemia divenuta tale anche col contributo del trasporto aereo che ha spostato massivamente persone e cose infette in tutto il mondo), è scoppiata una guerra che tra aumenti del carburante, chiusura di rotte, embarghi e sanzioni sta bastonando duramente questo settore e ci avviamo a tambur battente verso un disastro climatico.
Il trasporto aereo percentualmente non è uno tra i massimi contributori diretti delle emissioni di gas serra ma è comunque sotto la lente di chi sta cercando una soluzione al problema.
Come già trattato su queste pagine, le emissioni in quota da parte di propulsori privi di filtraggio e carburanti grezzi sono una delle criticità da risolvere. Nel breve periodo la soluzione temporanea sembra risiedere nel carburante stesso, si cercano miscele alternative di idrocarburi che riducano le emissioni di particolato, solfati, ossido di azoto e anidride carbonica.
Non si può fare molto di più al momento perchè le compagnie non possono rimpiazzare dall’oggi al domani il parco volante e le infrastrutture sono costruite intorno ai mezzi in uso.
Lo sviluppo e la certificazione di un aeroplano per il trasporto di persone è un iter lunghissimo fatto di collaudi e test, quindi neanche volendo al momento non esistono aerei ecologici da comprare. Per cui i tempi saranno molto lunghi.

Il mercato sta cambiando

Boeing e Airbus hanno annunciato, a breve distanza, la chiusura delle linee di produzione dei loro quadrimotori giganti, rispettivamente l’iconico 747 e l’A380. Il mercato dei voli di linea sta cambiando, si prediligono più tratte con collegamenti capillari che grandi movimentazioni di passeggeri, oltre al fatto che i consumi di questi mostri sono tutt’altro che proficui. Il carburante bruciato per passeggero è in proporzione superiore rispetto ad aerei di stazza media, il che costringe le compagnie a riempire il più possibile questi mezzi per farli volare senza rimetterci. Oggi si prediligono aerei a fusoliera larga di capienza media, con solo due motori ma più efficienti.

Oltre il carburante

Trovare un carburante più green è senz’altro importante ma parliamo sempre di motori termici basati su dei processi di combustione, non è perchè abbiamo un kerosene meno inquinante allora possiamo bruciarne a volontà, per cui l’idea di fondo è creare degli aerei e dei motori più efficienti in modo da consumare meno, a prescindere dal combustibile.
Questa filosofia sarà alla base della prossima generazione di aeromobili e molte delle tecnologie che verranno impiegate sono allo studio da decenni.

Ma c’è un aereo in servizio, non un prototipo ma un veicolo sul quale possiamo salire tutti oggi stesso, che incorpora e utilizza molte di queste tecnologie, vincendo alcune tra le più difficili sfide tecniche mai affrontate.
Il suo sviluppo è costato 25 miliardi di dollari e ha convolto anche la NASA: parliamo del Boeing 787 Dreamliner.

Il Boeing 787 Dreamliner, il banco prova del futuro

Già più volte menzionato in queste pagine, questo aereo è un taglio netto col passato del quale mantiene solo il fattore di forma tradizionale del liner, tutto il resto è rivoluzionario ed è stato progettato da 0 col fine specifico di ridurre costi, consumi, emissioni atmosferiche e acustiche. Ad un primo sguardo passa inosservato, sembra un semplice ed elegante aereo di linea ma offre un’esperienza di volo unica nel suo genere.

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Vediamo quali sono le innovazioni che incorpora questo aereo e come influenzeranno le prossime generazioni.

Un motore efficiente

Il 787 può montare due motorizzazioni intercambiabili, il turbofan Rolls Royce Trent 1000 e il General Electric GEnx. Il GEnx è quello che prenderemo in esame perchè incorpora le innovazioni più interessanti.

Breve (breve, insomma…) spiegone introduttivo: gli aerei di linea montano motori turbofan (o turboventola) a doppio flusso. La parte frontale è costituita da un grande presa d’aria circolare occupata da una ventola, subito dietro il flusso d’aria si divide in due, una parte rimane fredda e scorre lungo l’anello esterno (bypass) e andrà a fornire il grosso della spinta, il resto viene instradato all’interno, aspirato dal compressore a stadi di un turbogetto e veicolato in camera di combustione dove viene iniettato il kerosene. La miscela di aria compressa e carburante brucia e i gas espandendosi verso l’ugello di scarico muovono una turbina che trasferisce forza motrice all’asse dove sono montati compressore e ventola.

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L’aria entra dalla presa d’aria 1 per venire spinta dalla ventola (2). La massa principale viene incanalata esternamente attraverso il bypass (9), una parte aspirata dal compressore a bassa pressione (3), spinta nella camera di combustione (5) dal compressore ad alta pressione (4). I gas di scarico espansi scaricano energia sulla turbina ad alta pressione (6) e a bassa pressione (7) per poi uscire dall’ugello di scarico (8)

Il principio che muove l’aereo è quello della terza legge di Newton: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Ad una massa d’aria spinta dal motore in una direzione equivale una spinta nella direzione opposta.
L’elica è il più efficiente dei sistemi di propulsione perchè muove una grande massa d’aria a una velocità limitata, il turbojet invece e meno efficiente perchè muovendo meno aria deve accelerarla ad una velocità considerevole. Una parte dell’energia che si genera spinge l’aereo ma una parte consistente viene dissipata con l’aria turbolenta che si lascia alle spalle (perchè l’aria è un fluido, non è come muoversi su una rotaia). Tuttavia il turbojet è indispensabile per superare i limiti fisici dell’elica dati dalle estremità delle pale che non possono superare la velocità del suono, causa una diminuzione dell’efficienza per via delle onde d’urto (la velocità del suono è il limite meccanico, in questo caso dell’aria, superato il quale le cose si fanno… Complicate). Per cui un’elica non può operare al di sopra di determinati regimi di rotazione. Il Turbofan unisce i due mondi, la ventola è tecnicamente un’elica intubata che spinge grosse masse più lentamente mentre l’aria movimentata dal turbogetto viene utilizzata in gran parte per generare la forza motrice sull’asse, sfruttando così l’energia dei gas di scarico che altrimenti andrebbe sprecata.

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Parliamo comunque di propulsori che sfruttano l’alta densità energetica degli idrocarburi per compensare un’inefficienza concettuale, dove c’è scambio termico c’è sempre una perdita considerevole di energia. Come per i motori delle auto, rumore, vibrazioni e calore richiedono energia per essere generati, energia attinta sempre dal carburante iniziale. Se pensiamo che i razzi sono udibili a km di distanza e necessitano di sistemi di soppressione del rumore in rampa, ci rendiamo conto di quanto poco efficienti siano in questo senso. Un motore a getto ideale si sposta ma l’aria che si lascia dietro rimane ferma. Questa è la teoria…

Pe chi volesse farsi del male con qualcosa di più tecnico, consiglio questa lezione del prof Nicolosi , questo corso di meccanica del volo e questo approfondimento sul turbofan

General Electric Next Generation

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Il motore GEnx è ovviamente un turboventola, adotta una serie di accorgimenti che consentono una riduzione del 15% dei consumi (che sembra poco ma non lo è, parliamo di milioni di $ risparmiati), 60% di riduzione del rumore e 60% di riduzione delle emissioni di Nox.

La prima innovazione è stata arrivare a un fattore di bypass di circa 9:1 ovvero, per ogni kg di aria che esce dal turbogetto ne escono 9 dal flusso bypass della ventola. Questo numero così non dice nulla ma se lo confrontiamo con la media di 5:7 dei vecchi aerei rende bene l’idea.
Questo risultato è stato raggiunto aumentando il diametro della ventola frontale.

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Non prima però di aver risolto alcuni limiti: un aumento di diametro, a parità di velocità angolare, corrisponde ad un aumento della velocità tangenziale e della forza centrifuga esercitata sulla pala. Per il problema menzionato poco fa, se le estremità della ventola/elica ruotando superano la velocità del suono, si perde di efficienza a causa delle onde soniche. Tuttavia essendo la ventola montata sullo stesso asse della turbina, è vincolata ai regimi di rotazione di quest’ultima, quindi per evitare problemi si è sempre mantenuto un diametro contenuto. Per superare questo limite è stato creato il cosiddetto “geared turbofan“, ovvero la ventola viene montata su un riduttore epicicloidale, questo consente di far ruotare turbina e ventola ognuna al suo regime ottimale, senza che una possa compromettere la resa dell’altra. Il riduttore ha un rapporto di 3:1, inoltre la ventola è realizzata in fibra composita, quindi 50% più leggera di quelle tradizionali interamente in titanio, meno inerzia che si carica sul lavoro della turbina e meno stress centrifugo. L’utilizzo dei materiali compositi ha permesso una geometria più avanzata da cui la riduzione da 22 a 18 pale, con la perdita di un ulteriore 15% del peso.

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Un secondo accorgimento è stato l’aumento del rateo di compressione (ovvero il rapporto tra pressione dell’aria in uscita e aria in entrata). Il valore si attesta su 44:1.
Perchè un alto valore di compressione aumenta l’efficienza?
Perchè nelle trasformazioni di energia c’è sempre una perdita sotto forma di aumento di entropia. L’entropia è una grandezza fisica misurabile, potremmo definirla come la perdita di energia utile a svolgere un lavoro (si misura in Joules per Kelvin) dato dalla tendenza dell’universo a passare da uno stato ordinato ad uno stato omogeneo. L’energia spesa in entropia è persa e non può essere recuperata. Più si mantiene stabile lo stato di ordine di un elemento, più il motore è efficiente.

Un aumento di calore o di volume rende più erratiche le particelle di gas rispetto allo spazio, aumentandone l’entropia.

Quando l’aria entra nel compressore si scalda, per cui la sua entropia aumenta, però se ne riduciamo drasticamente il volume (quindi ne forziamo uno stato più ordinato nello spazio), le permettiamo di rimanere più o meno stabile nonostante il calore. In camera di combustione inevitabilmente l’entropia sale per poi stabilizzarsi in uscita man mano che l’aria si raffredda (diminuzione della temperatura ma aumento del volume). Quanta più pressione riusciamo ad ottenere nel compressore (fase ad entropia stabile) maggiore sarà il potenziale energetico dell’aria e meno carburante sarà necessario iniettare (fase ad alta entropia) per raggiungere la spinta desiderata. In sostanza: lo stato di entropia alla fine del ciclo deve essere aumentato il meno possibile rispetto a quello iniziale. L’efficienza di un motore si misura nel rapporto tra l’energia immessa e l’energia ricavata. La differenza è la spesa in entropia (l’entropia è un po’ come pagare l’IVA…)

OK tentiamo di spiegare la supercazzola con un grafico. Sull’asse verticale la temperatura, sull’asse orizzontale l’entropia. Il punto A è la condizione di partenza dell’aria, quando entra dalla presa d’aria. Osserviamo la curva rossa: Il compressore alza la pressione (cioè riduce il volume), come conseguenza si innalza la temperatura per cui le due cose si bilanciano a livello di entropia che rimane pressochè invariata. Arriviamo al punto B1 che corrisponde all’ingresso in camera di combustione, a questo punto viene iniettato il carburante e inizia la combustione che ci porta al punto C1 ovvero è la temperatura massima gestita dal motore. Combustione significa grande aumento di entropia, quindi gas caldo e in espansione. Dopo C1 i gas passano per la turbina dove viene recuperata parte dell’energia e convertita in forza motrice per poi uscire dall’ugello posteriore dove si ricava altra energia sotto forma di spinta.
Arriviamo al punto D1 in cui non è più possibile ricavare energia, il gas ormai è uscito completamente e si raffredda per tornare alla condizione A (teorica, perchè avendo un mix di gas differente, sicuramente la sua entropia è aumentata ma vista la grande massa d’aria che va a diluirlo, possiamo trascurarlo).
Vediamo ora la curva verde che corrisponde al motore ad alta compressione: il punto A è comune ma stavolta arriviamo al punto B2 che a parità di entropia rispetto a B1 è molo più caldo. Iniettiamo il carburante necessario ad arrivare alla temperatura massima C2, che sarà in quantità inferiore rispetto a quanto iniettato da B1 per arrivare a C1. Di conseguenza in C2 avremo un livello di entropia minore, minore è l’entropia minore è il “dazio” pagato e maggiore l’energia che si può ricavare. Per cui arriviamo a D2 in cui riusciamo a ricavare energia fino ad un livello di temperatura più basso. Quindi abbiamo usato meno carburante ma abbiamo estratto più energia sia attraverso la turbina che l’ugello.

Ottenere un così altro fattore di compressione non è semplice, il motore è più pesante e soggetto a maggiori sollecitazioni. Nel GEnx gli stadi del compressore sono stati ridotti da 14 a 10 grazie alla geometria avanzata delle pale e da ventole interne ad alta pressione “blisk” realizzate lavorando un unico pezzo di alluminuro di titanio anzichè incastrando ogni singola paletta in metallo sul mozzo centrale. Le ventole blisk sono molto meno soggette a deformazione da stress e non fanno trafilare l’aria attraverso le giunture, oltre a semplificare parecchio le operazioni di manutenzione. Meno ventole significa meno massa da movimentare.

La riduzione delle emissioni di Nox è stata ottenuta controllando la temperatura di combustione tramite un processo di diluizione che la mantiene sotto il punto di massima produzione di ossido di azoto, che coincide con il rapporto stechiometrico ideale. Questo processo avviene grazie a 22 iniettori stampati in 3D detti “twin anular pre swirl injectors” o semplicemente TAPS, costati 26 anni di sviluppo congiunto con la NASA.

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Infine, la riduzione del 60% del rumore è stata ottenuta con i caratteristici denti sul bordo d’uscita delle carene. Come spiegato all’inizio l’aria è un fluido, l’impatto del getto ad alta pressione con l’aria ferma produce rumore (un po’ come una cascata quando cade sullo specchio d’acqua sottostante). I denti generano dei vortici che mitigano questo impatto riducendo le emissioni sonore.

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i caratteristici denti sul bordo di uscita delle carene motori

I sistemi di bordo

Normalmente in un aereo di linea quasi tutti i sistemi sono movimentati da aria compressa spillata dai motori, dalla pressurizzazione della cabina ai sistemi antighiaccio. Nel caso in cui non fosse disponibile l’aria dei motori principali, questa viene generata da un piccolo turbogetto situato solitamente in coda (APU Auxiliary Power Unit).
Questo sistema comporta pesanti e complessi circuiti idraulici e sistemi per gestire la temperatura dell’aria compressa. In ultima istanza l’APU fornisce aria anche per rimettere in moto i motori in caso di spegnimento in volo.
Spillare aria però significa aumentare il consumo di carburante e togliere efficienza ai motori.
Boeing ha risolto il problema eliminando complessi sistemi di spillaggio e pesanti condutture rendendo tutti i sistemi pilotati elettricamente in locale. Vista l’alta efficienza dei motori, all’APU sono collegati due generatori da 225 KW e ai turbofan principali altri due generatori da 250 KW ognuno, per un totale di 6 generatori che possono erogare a picco 1,45 MW. Giusto per fare una proporzione, un metro quadro di pannelli fotovoltaici produce 200 Watt, servono 7250 metri quadri, praticamente un campo di calcio.

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Auxiliary Power Unit

Con tutta questa energia si mettono in moto i turbofan autonomamente, non serve quindi l’iniezione di aria compressa da terra (in questo caso specifico, l’APU produce corrente e i generatori dei turbofan operano all’inverso, come motori elettrici per portare la turbina al regime di rotazione utile); si pressurizza e climatizza la fusoliera, si gestiscono tutte le pompe e i servocomandi che normalmente sfruttano l’aria compressa. Anche il sistema antighiaccio è composto da resistenze elettriche e i freni usano sistemi elettroattuati.
Questo sistema è molto più efficiente di quello tradizionale, oltre a semplificare la costruzione dell’aereo che diventa più sicuro (meno roba c’è, meno roba si rompe…) fa risparmiare un sacco di peso. Solo i freni elettroattuati fanno risparmiare quasi un quintale per elemento del carrello.
E avanza anche energia per qualche finezza, come i finestrini oscurati elettricamente anzichè le tendine di plastica.

La struttura composita

Tradizionalmente la struttura di un aereo è composta da uno scheletro di centine e longheroni in lega di alluminio sui quali viene rivettato il rivestimento, rivestimento che è anche parte strutturale lavorante, un po’ come sulle auto, se togliamo una portiera o il parabrezza, la macchina si flette. Questo metodo costruttivo risale agli anni ’20 e porta con se dei limiti, primo tra tutti la complessità. Inoltre migliaia di teste di rivetto che sporgono sulla superficie, per quanto spianate, producono parecchia resistenza parassita. Il vantaggio però è che una struttura del genere è facilmente riparabile e resiste bene agli impatti.

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Utilizzare materiali compositi a base di fibra di carbonio e resina in ambito aeronautico non è una novità, la sfida di Boeing è stato impiegarli in un aereo così grande e produrlo in serie. Si è optato per dividere la fusoliera in 5 tronconi, dime con la forma della sezione che si deve realizzare vengono avvolte da strati di un nastro in fibra di carbonio impregnato di resina, che solidifica in giganteschi forni e poi i vari pezzi uniti e lavorati.
La fibra di carbonio offre una resistenza alla tensione 5 volte superiore all’acciaio ma a 1/5 del peso, in più si riducono i componenti da migliaia a 5. Ogni rivetto, ogni piega è un punto debole, avere pezzi unici aumenta la solidità generale a prescindere dalla resistenza intrinseca del materiale utilizzato.

La fusoliera realizzata con questa tecnica può essere pressurizzata più efficacemente, solitamente la pressione in cabina equivale a quota 2300 metri. Non ci facciamo caso perchè passiamo il viaggio seduti ma se dovessimo correre su e giù per il corridoio tireremmo il fiato. Il 787 viene pressurizzato con un’atmosfera equivalente ai 1800 metri che corrisponde al 73% della quota e al 25% in più di pressione. Il tutto si traduce in un aumento del confort, specie nelle le lunghe tratte riduce gli effetti del jet lag (e fa scoreggiare meno il vostro vicino di poltrona…). Anche l’umidità è più alta perchè il carbonio, a differenza dell’alluminio, non è soggetto a corrosione o ossidazione. L’aria pompata elettricamente è molto più controllata di quella spillata dai motori (che oltretutto deve passare da 250° a 20° attraverso un complesso sistema di raffreddamento e filtraggio).

Il carbonio non è affetto da affaticamento da stress, per cui si possono ricavare dei finestrini molo più ampi rispetto agli aerei in alluminio. Il finestrino è uno dei punti deboli di una fusoliera perchè ne compromette l’integrità scaricando sul perimetro tutto lo stress meccanico che a lungo andare crea delle cricche.

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Le caratteristiche “tendine elettriche” sugli ampi finestrini

Circa il 55% del peso totale del 787 è costituito da fibra di carbonio, a testimonianza di quanto massivamente sia stato impiegata. Un 15% invece corrisponde al titanio che viene utilizzato in punti strutturali in cui si rendono necessarie le caratteristiche fisiche del metallo, come gli innesti alari. Il carbonio offre grande resistenza a specifici stress ma è soggetto a frattura se sollecitato in modi non previsti. Il titanio si è sostituito all’alluminio perchè è soggetto a corrosione galvanica a contatto col carbonio, si è dovuto optare per un elemento della serie galvanica più vicino. Oltre agli innesti alari, il titanio si trova sui bordi di attacco delle pale delle ventole, delle prese d’aria e delle ali. In caso di impatto il metallo assorbe l’urto mentre il carbonio si fratturerebbe irreparabilmente, per questo i punti sensibili sono stati protetti per eventuali bird strike.

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Tuttavia i materiali compositi non sono il santo graal dell’aeronautica, ci sono ancora parecchie criticità che l’industria deve imparare a risolvere. La più evidente è la difficoltà di riparazione. Se una fusoliera in alluminio impatta con qualcosa, per esempio un uccello, assorbe l’urto ammaccandosi. Essendo l’aereo costruito a pannellature, basterà ribattere o sostituire solo quelle danneggiate. Se un 787 rimane danneggiato da un urto, il materiale composito è molto più rigido e tende a fratturarsi se sollecitato nella direzione sbagliata. Anche una piccola crepa potrebbe camminare e compromettere un’intero troncone della fusoliera. La riparazione diventa difficoltosa perchè l’aereo non si può smontare. Sono state affinate tecniche speciali per questo tipo di interventi ma rimangono situazioni piuttosto delicate da risolvere.

Il titanio è un materiale molto costoso e Boeing ha dovuto contenere i costi di produzione per poter recuperare l’investimento sullo sviluppo. Quindi ha cercato di eliminare gli sprechi in fase di lavorazione. Anzichè sagomare i pezzi da un blocco di metallo fresato creando tonnellate di sfridi, è stata sviluppata una tecnica di stampaggio 3D a filo, diversa dal classico sistema a polvere metallica fusa col laser, scartato per via delle imperfezioni che a lungo andare possono trasformarsi in crepe e punti di rottura. La stampa a filo consente un risparmio del 50% di materiale, evitando gli sprechi. il 787 è il primo aereo certificato a montare componenti strutturali stampati in 3D.

Il carbonio inoltre è un ottimo conduttore, nel caso venisse colpito da un fulmine c’è il rischio che si formino archi elettrici, anche all’interno dei serbatoi. Per ovviare a questo problema Boeing inizialmente montava una rete di bande di rame per scaricare la corrente elettrica dove poteva venire dissipata senza pericolo. Tuttavia per risparmiare sui costi e semplificare ulteriormente la struttura del 787, nei modelli di serie ha abbandonato questa soluzione, forte anche di una casistica ben documentata, ritenendo sufficiente la saturazione con azoto dei serbatoi per evitare l’eventuale combustione.

Un’ala innovativa

Le caratteristiche dei materiali compositi hanno permesso di disegnare un’ala particolare, molto più simile a quella di un aliante.

Partiamo da un presupposto, una volta ottenuta dai motori l’energia che permette all’aeromobile di spostarsi, tutte le forze in gioco, esclusa la gravità, sono derivate di quell’energia. Parliamo oltre che di portanza, di resistenza, resistenza indotta, resistenza d’onda e resistenza parassita (per citare le principali forme). Se aumentiamo la resistenza, questo andrà a discapito della portanza o della velocità. La somma totale delle forze deve essere sempre uguale all’energia fornita dal propulsore (al netto delle sue stesse dispersioni). Qualsiasi forma di inefficienza o dissipazione va a discapito dei consumi perchè il motore dovrà spingere di più per compensare l’ammanco.

La portanza alare è un fenomeno complesso che a tutt’oggi non è ancora compreso al 100% (o per lo meno, ci sono pareri discordanti). Per semplificare diciamo che la spinta verso l’alto (portanza) viene ottenuta creando una differenza di pressione tra il ventre (intradosso) e il dorso (estradosso) dell’ala grazie ad un profilo opportunamente sagomato (profilo NACA). Sul dorso l’aria scorre più velocemente e per la legge di Bernoulli, un fluido che aumenta la sua velocità, diminuisce in pressione. Questo non è l’unico effetto a concorrere nella generazione della portanza, è un equilibrio di forze complesso (magari soggetto di un prossimo articolo), per ora ci accontentiamo di questa semplificazione.

La pressione sul ventre dell’ala preme verso l’alto, in un’ala teorica ad allungamento infinito non ci sono problemi, ma in un’ala reale, quando ci si avvicina all’estremità, la pressione tende a scappare fuori e rigirarsi sul dorso creando un vortice (vortice di estremità). Ciò comporta una perdita di portanza ed un notevole dispendio energetico. Per ovviare a questo fenomeno normalmente si utilizzano le cosiddette “winglet“, due piccole pinne sulla punta dell’ala che impediscono al vortice di estremità di defluire sul dorso.

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Due tra i più diffusi tipi di winglet (singolo e doppio). Le winglet impediscono all’alta pressione che sfugge dall’estremità alare di riversarsi sul dorso
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Le winglet non impediscono la formazione vortici di estremità, fanno solo in modo che non vadano a compromettere la portanza ma lo spreco energetico rimane. L’ala ad alto allungamento riduce la dimensione di questi vortici massimizzando l’efficienza

Un metodo migliore è allungare l’ala e al contempo assottigliarla alle estremità, così da ridurre progressivamente il fenomeno fino ad annullarlo. Il rapporto tra la corda media e l’apertura alare viene definito “allungamento“, mediamente gli aerei di linea si assestano su valori di allungamento che vanno da 6,5 a 8, il 787 arriva ad 11.

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Si definisce “allungamento” il rapporto tra b (apertura alare) e C (corda media)
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Un aliante riesce a rimanere in volo senza motore con un’efficienza che in alcuni casi può arrivare a 1:70, ovvero per ogni metro di quota perso ne sono stati percorsi 70 in lunghezza

Il termine di paragone ideale sono gli alianti che con un rapporto di oltre 33 riescono a minimizzare la resistenza e massimizzare la portanza per poter volare senza motore. Un’ala ad alto allungamento è sottile e allungata, per principio di leva è soggetta a forti sollecitazioni che si sviluppano sotto forma di piegamento verso l’alto. Fin che si tratta di un aliante monoposto da poche decine di kg non è un problema ma qui parliamo di una superficie alare di 377 m2 per 60 metri di apertura, per questo si è dovuto aspettare che la tecnologia consentisse di realizzare un cassone alare che resistesse alle sollecitazioni di un aereo di questa stazza.

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L’incredibile bending test del 787

Il cassone del 787 è realizzato con longheroni in carbonio e centine in alluminio che permetteno una flessione media verso l’alto di oltre 3 metri durante il volo. Negli stress test effettuati per la certificazione si è arrivati addirittura a 7,6 metri, sostenendo una volta e mezza il peso dell’aereo a carico massimo. Come già detto, i materiali compositi tendono a non soffrire di affaticamento nel tempo a causa delle sollecitazioni, quindi non è un problema se le ali del 787 vengono flesse di continuo. L’estrema flessibilità aiuta anche ad assorbire le sollecitazioni delle turbolenze per un confort migliore.

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In un profilo alare classico (1) avvicinandosi alla velocità del suono si sviluppa la cosiddetta resistenza d’onda, un profilo supercritico (2) gestisce meglio l’onda transonica e offre un maggior volume nella parte anteriore.

Negli aerei di linea le ali costituiscono anche il principale serbatoio di carburante, il cui peso serve in parte a contrastare l’eccessiva deformazione verso l’alto. L’ala allungata e flessibile col profilo tradizionale non offre molto volume al suo interno. Per recuperare spazio è stato scelto un profilo “supercritico” che con il suo bordo d’attacco più incurvato offre magggiore efficienza a velocità transoniche (che vanno da Mach 0.7 in su, ricordiamo che alle quote di esercizio degli aerei di linea l’aria è più rarefatta e la velocità del suono scende da 340 m/s a livello del mare a 290-299 m/s). Come per le eliche, anche per le ali i fenomeni a velocità transonica possono diventare un problema.
Al netto del vantaggio in termni energetici, la forma consente un notevole recupero di volume interno. Oltre alla geometria, molto spazio viene recuperato con l’eliminazione di ingombranti circuiti idrauliici per lo spinamento dell’aria dei motori, il sistema antigelo e la movimentazione delle superfici, tutti sistemi che sul 787 sono elettroattuati locamente.

Un altro dei problemi che Boeing ha risolto con il 787 è lo strato turbolento del flusso laminare dovuto all’attrito con la superficie della’ereo. Uno strato turbolento va a sommarsi alla resistenza indotta e il suo movimento diventa imprevedibile. Come per i vortici di estremità può andare a infilarsi in aree dove può creare ulteriori problemi, quindi oltre alla resistenza che aumenta può anche ridurre l’efficienza di di altre superfici.

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la coda è uno dei punti più sensibili allo strato turbolento. In corrispondenza delle bande grigie sul bordo di attacco dovrebbero essere presenti dei fori per l’aspirazione dell’aria

Per contenere il fenomeno Boeing ha introdotto l’ Hybrid Laminar Flow Control o HLFC. Non si sa molto di questa applicazione perchè l’azienda non ha reso noti alcuni brevetti, quello che si sa è che sulla deriva dell’aereo si trovano dei microfori che aspirano e smaltiscono lo strato turbolento. Non è un concetto nuovo ma nel corso degli anni si è rivelato poco praticabile per la difficoltà di mantenere efficiente un tale sistema, specie per quanto riguarda l’ostruzione dei fori. Boeing sembra aver trovato il modo di realizzare un sistema di aspirazione funzionale e sostenibile sulla coda, i dati danno un 13% di risparmio energetico.

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Cosa aspettarci dal futuro?

Il Boeing 787 da solo ha introdotto centinaia di nuove soluzioni molte delle quali frutto di decenni di studi. Il mercato ovviamente sta rispondendo, il principale concorrente Airbus sta proponendo un aereo simile, l’A350 XWB che incorpora molte tecnologie simili e un propulsore quasi identico (il Rolls Royce Trent), tuttavia meno innovativo.
La scommessa di Boeing supera i 25 miliardi di dollari e questa è la cifra che dovrà incassare dalle vendite per poter recuperare i costi di sviluppo e produrre un profitto. L’ “all in” tecnologico in cui l’azienda mette tutto sul piatto, una partita che non poteva essere giocata a metà. Questo aereo deve essere appetibile per le compagnie che oggi più che mai si trovano a dover lottare coi costi del carburante, quindi l’efficienza è stata il fulcro del progetto da subito. Una sola innovazione non sarebbe stata sufficiente, è stato necessario fare un “salto quantico”.

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Tuttavia c’è ancora margine per migliorare e rivoluzionare, il 787 porta tantissime novità ma queste sono solo la base per gli aerei che verranno. Infatti c’è un aspetto che non permette al Dreamliner di liberarsi dell’aggettivo “tradizionale” ovvero il “fattore di forma”.
Dagli anni ’50 gli aerei di linea mantengono sempre la stessa configurazione, senza variazioni sul tema significative: fusoliera a tubo, ali a freccia e impennaggio verticale con piani di profondità.
Eppure, se le tecnologie che Boeing sta impiegando solo oggi sono il frutto di decenni di sviluppo, nella seconda parte di questo articolo scopriremo che il salto definitivo dell’aviazione avverrà su un concetto noto fin dagli anni ’30…

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